martedì 27 gennaio 2015

Per non dimenticare...




Per non dimenticare il 27 gennaio 1945, quest'anno segnaliamo che fino al 6 aprile a Torino rimarrà aperta una mostra dedicata a Primo Levi, il famoso autore di “Se questo è un uomo”, noto per la sua capacità di descrivere con grande dovizia di particolari e sentimento i momenti dell’Olocausto.

Il vagone alloggiato in piazza Castello, si propone come un emblema della deportazione, in quanto fedelissima riproduzione di quello che moltissimi anni fa deportò lo scrittore.

Partigiano antifascista, Primo Levi nel 1943 venne catturato dai nazifascisti e quindi, nel febbraio dell'anno successivo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo.

Levi attribuì la propria sopravvivenza a una serie di incontri e coincidenze fortunate. Innanzitutto, leggendo pubblicazioni scientifiche durante i suoi studi, aveva appreso un tedesco elementare. Di rilevante importanza fu parimenti l'incontro con Lorenzo Perrone, un civile occupato come muratore, il quale, esponendosi a un grande rischio personale, gli fece avere regolarmente del cibo. In un secondo momento, verso la fine del 1944, venne esaminato da una commissione di selezione, incaricata di reclutare chimici per la Buna, una fabbrica per la produzione di gomma sintetica di proprietà del colosso chimico tedesco IG Farben. Insieme ad altri due prigionieri (entrambi poi deceduti durante la marcia di evacuazione) ottenne un posto presso il laboratorio della Buna, dove svolse mansioni meno faticose ed ebbe la possibilità di contrabbandare materiale con il quale effettuare transazioni per ottenere cibo. Nel far ciò si avvalse della collaborazione di un altro prigioniero a cui era molto legato, Alberto Dalla Volta, anch'egli italiano. Infine, nel gennaio del 1945, immediatamente prima della liberazione del campo da parte dell'Armata Rossa, si ammalò di scarlattina e venne ricoverato nel Ka-be (dal tedesco Krankenbau, in italiano "infermeria del campo"), scampando così fortunosamente alla marcia di evacuazione da Auschwitz (nella quale sarebbe morto Alberto, ma non per la scarlattina, malattia che avrebbe già contratto in età infantile).

Il viaggio di ritorno in Italia, narrato nel romanzo La tregua, sarà lungo e travagliato. Si protrarrà fino ad ottobre, attraverso Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Ungheria, Germania ed Austria.

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