lunedì 11 maggio 2015

Santa Giuletta - il paese delle bambole



Santa Giuletta è un comune italiano di circa 2.000 abitanti della provincia di Pavia in Lombardia. Si trova nell'Oltrepò Pavese, parte in collina, parte nella pianura sottostante.

Il nucleo più antico, detto Castello, sorge sulla collina; il nucleo più moderno, detto La Villa, attuale capoluogo, si trova ai piedi della collina, e si estende fino alla ex-statale 10 Padana Inferiore. Il punto più alto di Santa Giuletta è il Monte Zavo (346 m s.l.m.), dal quale venne estratta l'arenaria sufficiente alla costruzione di alcune parti di San Michele (Pavia), San Pietro in ciel d'oro (Pavia) e per la certosa (Certosa di Pavia). Un altro colle di Santa Giuletta è il Monte Campone (351 m s.l.m.), posto sull'esatto confine tra Santa Giuletta, Pietra de' Giorgi e Mornico Losana.

Tra gli anni '50 ed la fine degli anni '60 Santa Giuletta conobbe un'intensa attività industriale legata alla produzione di bambole. Per questa ragione divenne famosa come “paese delle bambole”e fu definita, in alcuni giornali dell’epoca, “la Norimberga italiana”. La prima fabbrica ad operare in tale settore fu la “Fata”, nata a Milano all'inizio del Novecento. Nel 1929 la società Fata venne acquistata dai cugini Teresio Garbagna e Luigi Porcellana, nativi di S. Giuletta e già azionisti all'interno della ditta. Nel 1933 una piccola parte di produzione venne trasferita a S. Giuletta, probabilmente per insegnare il mestiere alle giovani operaie del paese. Questa data rappresenta l'inizio della fabbricazione di bambole nel piccolo paese oltrepadano. Le prime "bambole economiche" furono realizzate in una piccola stanza al primo piano del palazzo Giandolini , in cui lavoravano 7 operaie. Le bambole avevano il corpo di stoffa riempita di "rivia", termine dialettale che indicava dei sottili trucioli di legno, ed avevano la testa in cartone pressato. Gli occhi erano dipinti così come la bocca. Nel 1936 la società trasferì l'intera produzione a S. Giuletta mantenendo a Milano la sede legale ed i magazzini. Nel 1940 Teresio Garbagna si ritirò dalla società e Luigi Porcellana rimase unico proprietario. In breve tempo la fabbrica Fata divenne una ditta di tutto rispetto con una produzione in continua crescita. Fu anche la fucina in cui si formarono i successivi imprenditori e gran parte delle maestranze del settore. Infatti a partire dagli anni '40 nacquero numerosissime altre fabbriche: LIALA (nata nel 1945), DIVA (nata nel 1949) e poi SILBA, ALBA, GIULIETTA, LILLY, MIVA, FARIDA, ROSSELLA, LIANA, MILENA e MONEL.

Dalle prime bambole in cartapesta si passò, verso la fine degli anni '40, a quelle in polistirolo e in polietilene e alla fine degli anni '50 si utilizzò il vinile. Le numerosissime fabbriche del paese producevano bambole non solo per il mercato italiano ma anche per quello estero. Nello stesso periodo sorsero anche alcune ditte complementari: la Società Italiana Materie Plastiche S.I.M.P. di Desimoni & Bezoari, lo Scatolificio Montagna-Barbieri per gli imballaggi, la G.B.D. per le voci, la Grossetti per gli occhi e nel 1956 la LAMPO-FILO per la produzione di capelli in nylon (chiusa nel 2010). Nel frattempo, seguendo una nuova domanda di mercato, alcune aziende trasformarono e diversificarono la propria produzione sempre nel campo del giocattolo. La ditta Rossella nel 1961 passò alla lavorazione di pupazzi in “peluche”e testa in gomma. Anche la Monel dal 1961 produsse bambole e pupazzi in peluche. Nel 1971 la ditta SAPIA iniziò la produzione di giocattoli interamente in plastica. Negli anni '50-'60 quindi tutte le forze lavoro attive a S. Giuletta erano impegnate nelle diverse fasi della lavorazione delle bambole. Quando si avvicinava un appuntamento importante, quale l’annuale “Fiera Campionaria” di Milano, in ogni fabbrica un gruppo scelto di operaie lavorava in gran segreto per creare nuovi modelli capaci di conquistare il mercato.

Vale la pena ricordare che fino agli anni '60 la bambola più che un giocattolo fu considerata un oggetto di pregio addirittura da mettere in bella mostra sul letto delle giovani spose in segno di buon augurio. Che questo fenomeno della “bambola sul letto”fosse largamente diffuso è dimostrato dal gran numero di bambole abbigliate da “damina” che furono vendute non solo in Italia ma anche all’estero. Spesso i militari di ritorno in patria le portavano come souvenir alle loro famiglie. Anche il loro costo era piuttosto elevato potendo raggiungere 10.000 lire quando un’apprendista percepiva 20 lire all’ora.

Purtroppo l’avvento di nuove tecnologie e la concorrenza di zone a produzione più economica (Veneto) determinarono negli anni successivi la progressiva chiusura di tutte le fabbriche di bambole.

Il Comune ha voluto raccogliere bambole, giocattoli, fotografie, calchi, utensili da lavoro, etichette, cataloghi delle varie epoche, dagli anni trenta agli anni ottanta del secolo scorso, e li ha catalogati in un museo. Lo scopo non è solo turistico, ma anche storico-culturale e didattico. Negli scorsi anni si sono svolti corsi indirizzati all’artigianato artistico con un modulo espressamente dedicato alla lavorazione delle bambole. Il Museo è completato da una nuova sede della Biblioteca Comunale attrezzata per mostre e ricerche sulle bambole e sulla storia locale.  E poi vi è la novità del Laboratorio, dove verranno ricostruite le Bambole in Cartapesta sui modelli antecedenti la seconda guerra mondiale.

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